Angeli dei Sette Chakra |
 Gli Angeli dei Chakra si rivolgono ad animi in cammino verso un sempre maggiore e consapevole equilibrio personale.
Donarsi o donare un angelo dei Chakra è un gesto colmo di simboli e significati.
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Mi sono sempre chiesto perché già nelle scuole medie non sia insegnato all’allievo un tipo di metodo che gli permetta di ricordare tutto o gran parte di ciò che sarà tenuto a studiare negli anni a seguire. Se non ricordi quello che studi, in definitiva a cosa ti serve averlo studiato?
Quando leggi un bellissimo libro su un argomento che t’interessa e ti appassiona, se dopo una settimana o anche meno non ricordi nulla o quasi di quanto hai letto, come ti senti? Si sostiene che anche l’occhio vuole la sua parte e sono d’accordo, ma alla soddisfazione in questo caso non vogliamo dare proprio nulla?
Al musicista è insegnato cosa fare per suonare. Come sgretolare difficoltà tecniche d’ogni tipo e addirittura come interpretare una melodia. Quindi sotto un certo aspetto gli viene insegnato a mettersi da parte di fronte a quello che io chiamo “evento sonoroâ€, o perlomeno a partecipare solo tecnicamente. Ciò che non gli viene insegnato è come essere in condizioni psicologiche e fisiche adatte per mettere in pratica le sue capacità e quanto conosce.
Il risultato è che molti musicisti d’enorme talento sono terrorizzati all’idea di suonare in pubblico e quando lo fanno sono la controfigura di se stessi. Quasi come se l’unico compito da assolvere fosse tradurre quei pallini seduti su una ragnatela formata da cinque righi e quattro spazi e dominare con l’unica forza della superiorità tecnica ogni difficoltà dello strumento. Vi sembra esagerato? S’insegna musica lasciando da parte l’uomo. |
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È come riporre degli abiti in un armadio senza guardare prima all’interno, o qual è la disposizione migliore per mettere tutti i vestiti.
Se vi fosse chiesto di sedervi, immediatamente guardereste la superficie su cui vi sedete. Questo è naturale. Ma per ciò che riguarda la musica non è così immediato.
Quando frequentavo il conservatorio studiavo più di otto ore al giorno, ma l’emozione che provavo al momento di “esternare†quanto avevo studiato mi bloccava ogni capacità espressiva trasformandomi in un distributore di suoni che logicamente possedeva molto della macchina ma poco dell’uomo.
Suonare in pubblico per me si trasformava in una sorta di castigo, cui mi dovevo sottoporre per meriti acquisiti durate l’anno accademico. Ciò che mi sconvolgeva di più erano i complimenti della gente alla fine del saggio. Quelle strette di mano ai miei occhi assomigliavano a frasi del tipo: “Complimenti sei stato malissimo, ma hai saputo nasconderlo beneâ€. Ogni genere di complimento si rifaceva ad un giudizio tecnico. La qualità che mi era riconosciuta quindi era quella di aver dominato tutte le difficoltà tecniche del brano. Dentro di me pensavo a cosa mi avrebbero detto se fossi riuscito a vivere con passione e trasporto le musiche che suonavo, usando le capacità tecniche per perdermi nella musica.
In camera mia riuscivo a sognare cullato da brani di Sor o Tarrèga, ma non appena mi rendevo conto di essere ascoltato precipitavo giù in picchiata, vergognandomi se ero stato colto in un’espressione strana dovuta al trasporto della melodia. Ricordo che a quel tempo sognavo di non dover fare mai una turnée. Una parte di me amava la musica, mentre l’altra la riteneva colpevole di varie patologie sia fisiche sia psicologiche.
Suonare con il “cuore†rappresentava una specie di rito segreto che doveva essere svolto in assoluta solitudine. Come una confessione. Di ogni brano, in pratica, studiavo due interpretazioni, o meglio per essere in grado di suonarlo in pubblico arrivavo a suonarlo tante volte d’averne la nausea; per me tenevo quelle esecuzioni che non avrei mai avuto il coraggio di fare in pubblico, perché avevano l’ “ardire†di mostrare le mie più segrete emozioni. © M.Claus - Tutti i diritti riservati. È vietato utilizzare questo testo, anche parzialmente, senza autorizzazione.
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